sabato 22 dicembre 2012

I numeri, bisogna saperli leggere...


...e le verità non vanno raccontate solo a metà.

Qualche giorno fa uscì la notizia (uno studio realizzato da MoPro) che la pubblicazione di Google Maps sull'App Store, avesse provocato una forte impennata nell'adozione di iOS6, addirittura del 29%.

Apriti cielo!!!

Ve li immaginate i soliti detrattori, quelli il cui unico (triste) scopo nella vita è contestare Apple, quelli che per settimane hanno spalato m**** sulle nuove mappe di iOS, come hanno accolto questa notizia? Come se davvero ci fosse così tanta gente che non aveva aggiornato iOS a causa delle mappe di Apple; sicuramente c'è anche chi ha fatto questo ragionamento, ma vi assicuro (per "interviste" dirette) che molta gente non ha nemmeno capito che la nuova applicazione delle mappe ha la cartografia di Apple e non più quella di Google...

In ogni caso, come ho già avuto modo di evidenziare altre volte, i numeri delle statistiche bisogna saperli leggere, altrimenti possono dare informazioni "truffaldine"...

Pare (non avendo approfondito più di tanto, non mi pronuncio, per non cadere nell'errore opposto) che l'incremento registrato da MoPro non sia da mettere in relazione con la pubblicazione di Google Maps, ma piuttosto con il lancio dell'iPhone 5 in Cina (e anche lì ci sarebbero dei dati su cui discutere, ma non oggi) e la riprova starebbe nel fatto che, un altro studio realizzato da Chitika, evidenzia che se si limita la statistica ai mercati di USA e Canada non si registra alcun picco di adozione di iOS6 (lo studio di MoPro invece era a livello mondiale, quindi includeva anche i 2 milioni di iPhone 5 venduti nel primo week-end cinese).

Da parte mia posso dire che in realtà neanche lo studio di Chitika può avere una valenza assoluta, perché USA e Canada sono i due paesi dove probabilmente le mappe di Apple hanno riscontrato il minor numero di problemi, soprattutto per quanto riguarda i punti di interesse... ma pensate che qualcuno dei detrattori di cui sopra abbia avuto la decenza di pubblicare anche questo secondo studio? Evidentemente per qualcuno la verità non sta nel mezzo, ma sta solo nella metà che vi racconta... 


venerdì 21 dicembre 2012

Paragoni

Una decina di giorni fa, Eric Schmidt ha dichiarato in un'intervista a Bloomberg che oggi Android è per Apple, quello che Microsoft fu negli anni '90. Sicuramente per alcuni aspetti ha ragione (non è certo il primo a cui è venuto in mente un simile paragone) ma la situazione non mi pare esattamente la stessa e le differenze sono molte, a partire dal contesto di cui parliamo: negli anni '80 e '90 il computer era un dispositivo riservato a pochi, nella "battaglia" attuale lo smartphone è un oggetto in mano a ogni persona. Ci sono poi considerazioni sul diverso stato dei mercati, le guerre sui brevetti che ai tempi non esistevano, gli store delle App, i servizi forniti a corredo, e molte altre cose...
Al di là di tutto questo, il paragone scelto da Schmidt non mi pare troppo felice... nonostante il successo commerciale, la reputazione di Microsoft non è certo delle migliori, e nel campo mobile (quello dove si concentra la battaglia iOS vs Android) le scelte di Microsoft si sono rivelate, per così dire, poco convincenti: Windows Mobile è sostanzialmente sparito dalla circolazione e Windows Phone (nonostante l'alleanza con Nokia) fatica a trovare spazio; in realtà la vera battaglia dei tablet deve ancora cominciare ed è proprio in questo settore che Microsoft potrebbe dire la sua grazie alla forzatura imposta da Windows 8... ma a quel punto chi ne farà le spese? Secondo me è più probabile che sia Android a risentire di un'eventuale crescita di Windows 8.
Da spettatore esterno vivo questi anni di piccole ma continue rivoluzioni informatiche in modo molto piacevole, molto più degli anni '90, perché trovo questa concorrenza molto più stimolante rispetto all'appiattimento che c'era quando Microsoft era monopolista incontrastata in tutti i settori... c'è chi dice che Google sia la nuova Microsoft (alludendo alla parte dispreggiativa di questo paragone) e in parte è vero, ma io vedo un mercato che nella sua globalità è diviso in maniera più equa dove il consumatore (perlomeno quello consumer) ha davvero ampia possibilità di scelta.

lunedì 17 dicembre 2012

Borsa e borsello

Dopo una capatina sui 700 dollari nel mese di settembre (cioé in concomitanza con il lancio dell'iPhone 5), il titolo AAPL ha iniziato una discesa che l'ha portato, nel momento in cui sto scrivendo, intorno ai 500 dollari (anche se un mesetto fa stava risalendo e si era riavvicinata a quota 600).
Certo, siamo sempre a +25% rispetto all'inizio dell'anno, ma siamo anche di fronte ad una perdita di quasi il 30% nell'ultimo trimestre, nonostante l'uscita dell'iPad mini (le cui vendite pare stiano andando a gonfie vele) e nonostante notizie confortanti anche su tutti gli altri fronti di vendita.
Cosa sta succedendo quindi? Difficile, se non impossibile, decifrarlo, ma se facciamo un confronto con Microsoft, con Google, e con un generico NASDAQ, notiamo quello che ho già avuto modo di osservare altre volte: l'andamento è grossomodo il medesimo (in realtà GOOG ha avuto un inzio anno un po' difficile) ma le curve di AAPL sono, per così dire, "esasperate": crescita in primavera, leggero calo estivo, ripresa autunnale, e calo attuale con andamento molto altalenante negli ultimi 2 mesi.
Non sono un esperto di economia, ma so che le performance di Apple si basavano su dati concreti di fatturato: se si analizza la crescita di quest'ultimo negli ultimi 5 anni, e la si confronta con la crescita del valore del titolo, si riscontra una certa coerenza, il che mi porterebbe a dire che il valore attuale è sottostimato, anche se tra processi e cause in corso, ribaltoni ai vertici, attesa dei prossimi dati fiscali, crisi che può aver indotto alcuni investitori di vecchia data ad un realizzo certo anziché un futuro dubbio, ecc... ecc... è anche legittimo che il titolo abbia subito una battuta di arresto. Probabilmente potremo dire qualcosa di più in merito a fine gennaio, nel frattempo (se non siete azionisti Apple) gotetevi le imminenti festività senza pensare troppo a queste cose.

sabato 15 dicembre 2012

iMac 2012

Nei giorni scorsi ho avuto l'occasione di prendere contatto con il nuovo iMac.

Putroppo non ho la possibilità di eseguire un test vero e proprio, ma posso solo esprimere qualche commento in base a ciò che ho provato in pochi minuti.

Al di là di tutte le novità sulla tecnologia costruttiva, sul procedimento utilizzato per saldare le due parti di alluminio, sulla laminazione dello schermo (e successiva deposizione al plasma dello strato antiriflesso) nonché sulle migliorie prestazionali che possono fornire il Fusion Drive e le nuove schede grafiche, quello che conta è l'impatto finale... l'utente si trova davanti prima di tutto un computer con uno schermo davvero migliore rispetto alla versione precedente: i riflessi non sono spariti del tutto, ma sono molto lievi, e soprattutto sono compensati da un'incredibile luminosità e brillantezza dei colori... lo so, sembrano frasi da volantino, ma è quello che traspare quando ci si trova di fronte, anche se non ho avuto modo di verificare l'effettiva corrispondenza cromatica e l'assenza di dominanti di colore.

Anche l'audio, nonostante lo spessore sottilissimo, raggiunge un ottimo livello, anche se sui toni bassi sembra un po' carente (per quel poco che ho avuto modo di sentire... dovrei provarlo con la mia musica, con certi brani in particolare)

Per quanto riguarda le prestazioni, un giudizio vero e proprio andrebbe fatto in modo approfondito, ma certo è che il Fusion Drive fa la sua bella parte per assicurare un po' di spint in più, e la direzione intrapresa da Apple è a mio avviso quella giusta (in attesa di potersi affidare totalmente agli SSD come sui MacBook Air e Retina, ma serve grande capacità a prezzo accessibile).

A valle di tutto ciò, per quanto mi riguarda resta sempre valida la mia idea di qualche tempo fa: magari tra qualche mese cambierò opinione, ma allo stato attuale delle cose non comprerei un all-in-one per nessun motivo, e sono molto curioso di vedere come si evolverà il Mac Pro nell'aggiornamento promesso il prossimo anno. Nel frattempo, chi attendeva il nuovo iMac di Apple, sicuramente non rimarrà deluso.

venerdì 14 dicembre 2012

Tempismo [im]perfetto

Un paio di giorni fa vi raccontavo delle mie perplessità attorno alla TV Apple (iTV o comunque la vogliate chiamare), e quella stessa sera il Wall Steet Journal pubblicava un articolo che vuole Apple già all'opera per produrre gli oggetti in questione.
Confutare una testata così autorevole e solitamente ben informata su quello che succede a Cupertino è difficile, ma a mio avviso le perplessità sono ancora molte, nonostante gli investimenti di Apple in Sharp (investimenti che possono avere anche ben altre finalità visto che Apple, anche con i soli prodotti attuali, è comunque un gran "consumatore" di display).

Cosa succederebbe però se Apple decidesse di "unire" una Apple-TV con un display da 27" in full-HD?

Se questo oggetto fosse dotato di una discreta memoria di archiviazione, e potesse far girare anche le applicazioni iOS (dopotutto la Apple-TV già utilizza una versione ad-hoc di iOS), il risulatato sarebbe una sorta di iMac con architettura ARM, sicuramente limitato ma per certi versi innovativo... sarebbe una macchina in grado di mettere insieme anni di indiscrezioni, che vanno dalla TV-Apple (scopo principale a cui sarebbe destinato l'oggetto) alle App su Apple-TV, ad un Mac con architettura ARM, e magari (ma questa la vedo più dura) anche al fantomatico (e, IMHO, poco utile) iMac con schermo touch.

La butto qui, come possibilità che unisce le mie perplessità su un oggetto Apple destinato solamente fare da televisore, con i possibili sviluppi di cui si è tanto parlato negli ultimi mesi... sarebbe infine l'ennesimo tentativo di Apple di crearsi un nuovo mercato da conquistare, prima che arrivi la concorrenza...

mercoledì 12 dicembre 2012

La TV i(N)telligente

Ieri ho comprato una TV per un regalo di Natale. Nulla di stravolgente, un 26" HD-Ready (l'ambiente dove deve andare è piccolo) di una serie non recentissima (salvo esigenze particolari, secondo me non ha senso correre dietro agli ultimi modelli, visto che si tratta di prodotti che auspicabilmente possono durare anche un decennio) ma comunque a LED e ben accessoriata.
Ero partito con l'idea di comprare qualcosa di diverso da un Samsung, non perché abbia particolari antipatie verso quest'azienda, ma perché ho già comprato tre televisori di questa marca e (a parte il piccolo TV a tubo catodico che ancora uso in cucina) non sono rimasto particolarmente soddifatto né del software di gestione, né del display vero e proprio. Spulciando però le specifiche dei vari modelli candidati all'acquisto (quindi quelli congruenti ai requisiti di dimensione e budget) e valutando il fatto che chi lo riceverà in dono sarà sotto copertura WiFi, e già possiede un iPad (che con Samsung non fa proprio il paio, ma con qualche App dovrebbe riuscire quantomeno a gestire il DLNA), sono ricaduto proprio su una Smart TV della Samsung, il cui pannello LCD non sembrava peggio dei concorrenti che gli stavano vicino, e apparentemente era migliore dei modelli acquistati in passato, anche se questo sarà da verificare col segnale ricevuto a casa.
Ovviamente sarò chiamato in causa in prima persona per la configurazione della TV, e ammetto di aver fatto questa scelta anche come "esperimento", perché sono curioso di verificare (alla prova dei fatti) quanto questa TV sia davvero Smart. Aspettatevi quindi, se non una recensione vera e propria, quantomeno un commento su questa TV nel corso delle vacanze natalizie.

Nel frattempo, parlando sempre di TV e gadget annessi e connessi, qualcuno comincia a dire che forse Apple non produrrà nessuna iTV, mentre è più probabile che incrementerà le funzioni dell'attuale Apple-TV. Questo confermerebbe le perplessità che ho già espresso diverse volte in passato... ma deve passare ancora qualche mese per verificare la cosa: la mia impressione è che in primavera arriveranno novità Apple proprio in tal senso, debitamente scadenziate da iPhone (che al prossimo giro potrebbe tornare a giugno, come ipotizzato qualche tempo fa) e dall'iPad (che io considererei accasato a settembre, momento più opportuno anche in vista degli acquisti natalizi).

martedì 4 dicembre 2012

Il personal computer del futuro

Da Punto-Informatico:

Prospettive future

Nel maggio del 2009 ci si chiedeva cosa avrebbe fatto Apple dell'acquisizione di P.A. Semi o, meglio, ci si chiedeva quando si sarebbero visti i reali risultati di questa acquisizione: perché se lo scopo dell'acquisizione era abbastanza chiaro, un processore non si progetta da un giorno all'altro.

I primi risultati arrivarono l'anno successivo con il primo SoC targato Apple, il processore Apple A4montato sull'iPad originale e, successivamente, su iPhone 4. Ma quello era solo l'inizio. L'Apple A4 era (anzi "è", perché iPhone 4 è ancora in vendita) un processore basato sull'architettura standard ARM Cortex A8, e lo stesso dicasi per il suo successore l'Apple A5, basato su ARM Cortex A9 e "declinato" successivamente in una variante A5X con comparto grafico potenziato per gestire la risoluzione delprimo iPad con display Retina. Già dal principio però, Apple stava probabilmente lavorando alla preparazione di un processore completamente customizzato, progettato solo per i propri dispositivi, e progettato per dare il meglio intorno al proprio hardware e al proprio software, seguendo appieno la filosofia Apple che vuole la migliore integrazione di ogni dettaglio.

Seguendo questa via si è arrivati all'iPhone 5 con processore Apple A6 (nonché l'A6X utilizzato nellanuova versione dell'iPad Retina ) e stavolta Apple ha fatto un passo in più: A6 non è più basato su un'architettura standard, anche se utilizza le specifiche ARMv7A (le stesse che definiscono l'architettura standard ARM Cortex A15). In definitiva si tratta sempre di un SoC ARM, ma con alcune caratteristiche plasmate da Apple attorno all'hardware specifico dei propri dispositivi iOS.

Continuando a parlare di ARM, quando sono state presentate le nuove architetture Cortex della serie A50 (in dettaglio la Cortex-A53 e la A57) a 64 bit, in molti si sono chiesti se ARM non fosse pronta per insidiare il trono di Intel: domanda più che legittima considerando tanto il fatto che Windows 8 esiste in versione RT per processori ARM, quanto il fatto che l'interesse per questo tipo di architettura sta crescendo anche sul lato server, laddove è importante il risparmio energetico (e possiamo segnalare degli esempi in tal senso sia da HP, che da Dell, o anche da AMD).

Parlando però di personal computer la situazione diventa più complicata: la maggior parte del software in circolazione è pensata per funzionare in ambienti più tradizionali e molte applicazioni non sono nemmeno compatibili con le architetture a 64bit, tant'è che Windows XP rappresenta ancora una grossa fetta dei sistemi ancora attivi. Sommando tutto quanto detto sopra, molti hanno fatto quadrato intorno alla possibilità che fosse proprio Apple ad abbandonare Intel per adottare l'architettura ARM anche sui Mac, possibilità alla quale ho accennato anche su queste pagine in più occasioni


Per capire quanto questa possibilità sia reale, oltre a valutare la fattibilità tecnica di questo passaggio (considerando tanto gli aspetti di compatibilità, quanto quelli delle prestazioni richieste ad un computer, che sono diverse rispetto a quelle di un dispositivo mobile) dobbiamo fare un passo indietro per esaminare alcuni passaggi chiave della storia dei Mac.

La storia insegna

L'attuale architettura hardware dei Mac nasce ufficialmente nel corso della WWDC del 2005, quando Steve Jobs annuncia che, a partire dall'anno successivo, il PowerPC verrà progressivamente abbandonato per lasciare spazio a nuove macchine basate sull'architettura x86 dei processori Intel. La decisione non è delle più facili, ma il consorzio che aveva dato vita al PowerPC vedendo la collaborazione tra Apple, IBM e Motorola, era ormai defunto: il G4 era un processore vecchio e il G5 (oltre a non dare segnali di crescita) non entrava in un portatile neanche a forza per via dei consumi elevati... e soprattutto non c'era l'ombra di nuovi processori all'orizzonte. Fortunatamente Apple aveva preparato il tutto fin dalle prime fasi di sviluppo di Mac OS X e la transizione, sebbene non indolore (soprattutto in alcuni ambiti specifici) avvenne comunque senza troppi intoppi grazie a Rosetta (un interprete che traduceva le istruzioni PPC in istruzioni x86) e grazie alla possibilità di realizzare applicazioni che contenessero codice specifico per entrambe le architetture. 

Apple non era nuova a questo tipo di transizioni: qualche anno prima aveva traghettato gli utenti dal Mac OS "classico" a Mac OS X utilizzando anche in quel caso delle librerie di transizione (Carbon) per creare software universale, e un ambiente in grado di emulare il vecchio sistema sul nuovo. Andando più indietro nel tempo e tornando a parlare più specificatamente di hardware, gli utenti Apple di lunga data ricorderanno anche la transizione tra i processori 68k e i PowerPC, transizione anch'essa caratterizzata da applicazioni con doppio codice per la entrambe le architetture, e dai soliti problemi che inevitabilmente accompagnano un cambiamento di questo tipo.

Il succo del discorso è che Apple non si è mai fatta troppi problemi ad intraprendere dei cambiamenti drastici in nome di quella che (a torto o a ragione) giudicava essere la soluzione migliore del momento e per gli anni a venire, così come non si è mai fatta grossi problemi ad utilizzare soluzioni proprietarie quanto riteneva che la loro adozione comportasse dei vantaggi per le proprie macchine. Dal punto di vista "ideologico", se Apple dovesse ritenere che l'architettura ARM può offrire qualcosa di più dell'architettura x86, probabilmente cambierebbe le carte in tavola ancora una volta: premesso questo, andiamo quindi ad analizzare la cosa da un punto di vista un po' più tecnico.

Prima di tutto l'architettura ARM deve offrire la possibilità di realizzare processori sufficientemente potenti da poter rivaleggiare con i più classici processori Intel (o, più in generale, sui processori x86) montati sui normali computer. Questo, a mio avviso, potrebbe avvenire nel giro di 3 anni circa, soprattutto se consideriamo che al giorno d'oggi la prestazioni assolute di una macchina non si fanno solo con la potenza pura del processore, ma anche con una migliore gestione dei diversi core (Grand Central Dispatch), con l'adozione di memorie allo stato solido in luogo degli Hard Disk tradizionali (MacBook Air e MacBook Pro Retina), con la divisione di certi compiti con la GPU (Open CL) e con molti altri dettagli. Complessivamente, le prestazioni sono il risultato di una migliore integrazione di tutte le componenti hardware e software, qualcosa che Apple ha sempre cercato di fare anche in virtù della "chiusura" dei propri sistemi, e quindi della limitata variabilità dell'hardware.

In secondo luogo Apple non può rischiare un'altra volta di ritrovarsi nella stessa situazione che ha dovuto affrontare con il PowerPC, ma questo pericolo è già scongiurato dal panorama completamente differente in cui si trova oggi: Apple (come abbiamo detto sopra) ha comprato P.A. Semi assicurandosi la possibilità di avere personale che porterà sempre avanti lo sviluppo di nuovi processori. Inoltre, nonostante le personalizzazioni, in questo caso non si appoggerebbe su una tecnologia completamente proprietaria, ma porrebbe le sue basi su un'architettura in forte crescita, concessa in licenza e adottata da molti costruttori: in poche parole, considerando lo scenario attuale, è poco probabile che ARM sparisca da un momento all'altro.

Infine arriviamo al discorso della compatibilità, hardware e software. Dal punto di vista hardware possiamo notare come Apple si stia slegando da molti vincoli fisici appoggiandosi sempre più alle tecnologie WiFi, settore al quale (come abbiamo visto qualche settimana fa) è stato messo a capo Bob Mansfield: rimozione delle unità ottiche, stampa dai device iOS tramite AirPrint, software senza supporto fisico ma scaricato dalla Rete, AirPlay per la trasmissione di audio e video. Tutto passa da connessioni wireless slegate da particolari architetture hardware, e quando c'è la necessità di collegare qualcosa tramite cavo la risposta di Apple in chiave futura è Thunderbold, tecnologia ultraveloce potenzialmente in grado di supportare diversi protocolli, che potrebbe essere implementata anche attraverso il nuovo connettore Lightning dei dispositivi iOS.

Dal punto di vista della compatibilità software, iOS e OSX hanno già alcune basi in comune, pur girando su architetture diverse, quindi il passo potrebbe essere breve, e non è detto che Apple non abbia già dei prototipi sui quali lavora per tenersi pronta all'eventuale passaggio. Chi ritiene che Apple abbia guadagnato mercato grazie alla compatibilità con Windows assicurata dai processori Intel, potrebbe considerare il fatto che anche Windows 8 RT gira su processori ARM, e Microsoft sembra voler puntare in modo deciso in questa direzione, cioè su applicazioni realizzate per girare anche sulla versione RT del nuovo sistema. È vero che con l'A6 Apple è andata oltre le architetture standard, e le soluzione customizzate introdurrebbero delle incompatibilità anche sui Mac (precludendo quindi la strada a Windows RT) ma è anche vero che per i dispositivi mobile l'ottimizzazione spinta è quasi indispensabile per ottenere prodotti al top, mentre per un'eventuale Mac costruito intorno all'architettura ARM si potrebbe ricorrere alle ARM Cortex Standard (che sia la serie A50 basata su ARMv8, o quelle che arriveranno negli anni a venire). 

La prima mossa

Con tutta probabilità il passaggio non sarebbe totalmente esente da problemi: come già avvenuto in passato (e descritto sopra) si assisterebbe ad un periodo con applicazioni appesantite dal doppio codice, ambienti di emulazione, e qualche incompatibilità il cui disagio può essere più o meno importante a seconda degli usi specifici degli utenti. Chi usa le applicazioni Apple o poco più (magari scaricato dal Mac App Store) potrebbe non riscontrare alcun problema; i professionisti legati a software molto specifici sarebbero invece legati ai tempi di aggiornamento dei singoli sviluppatori, e quindi anche all'efficacia degli strumenti (Xcode) che Apple metterebbe a disposizione per eseguire la transizione.

Il bello dell'Informatica è che si tratta di un settore sempre in movimento e in questi anni, tra il successo dei tablet e le rivoluzioni di interfaccia, si potrebbe arrivare anche ad uno stravolgimento di quelle architetture che sembravano ormai assodate, quasi scontate. Quando si parla di Apple la storia ci insegna che il cambiamento è ancora più probabile, ma anche Microsoft sta offrendo un contributo molto forte con Windows 8, e Google ha fatto la sua parte nel settore parallelo dei servizi online, dei sistemi mobile, e anche con i Chromebook. Questi ultimi dispositivi nati intorno a Chrome OS e al concetto di cloud (altra scommessa del futuro) sono virtualmente indipendenti dall'architettura: sono stati presentati tanto modelli con processore Intel (come l'Acer C7), quanto modelli con processori ARM, economici e per molti versi più convincenti (come il nuovo Samsung).

Ma se i Chromebook, per il loro particolare (e quasi indissolubile) legame con il mondo online, non sono ancora riusciti a fare breccia tra gli utenti, Windows 8 RT ha tutte le potenzialità per fare qualcosa in più, soprattutto perché potrebbe riuscire a traghettare verso dispositivi con architettura ARM gli utenti che si affezioneranno abitueranno all'interfaccia Metro. 


Per tirare le somme è ancora presto, ma se è vero che l'avvento delle architetture x86 segnò (a suo tempo) l'inizio della diffusione dei PC come li conosciamo oggi, nonché la sparizione quasi totali di tutte le altre tipologie di Personal Computer (con Apple che è rimasta l'unica mosca bianca nella sua nicchia), uno stravolgimento di architettura accompagnato da un cambiamento di abitudini degli utenti potrebbe rimescolare le carte in tavola. Se alcune novità delle novità più attese si riveleranno poco apprezzate o addirittura infruttuose, Apple potrebbe sorprendere tutti presentando un personal computer con sistema operativo "tradizionale" (senza le limitazioni di Windows RT e meno cloud-centrico di Chrome OS) capace di far girare le applicazioni di sempre, ma basato su una nuova architettura hardware che potrebbe essere l'architettura del futuro. O, perlomeno, di quel breve orizzonte del futuro informatico che possiamo immaginare oggi.

venerdì 23 novembre 2012

iOS6: cosa manca e cosa vorrei in iOS7

Sappiamo tutti che Scott Fortstall, responsable in toto di iOS, è stato cacciato da Apple e che il design dell'interfaccia di iOS (così come quella di OSX) è stata affidato a Jonathan Ive (mentre sarà Craig Federighi ad occuparsi del lato più tecnico di entrambi i sistemi).

Al di là delle dicerie sul pessimo carattere, non saprei dire se Scott Fortstall avesse lo stesso genio di Jobs, o se ne fosse solo una pallida imitazione. Certo è che Fortstall era uno dei pupilli di Steve, anche se le cose peggiori che ha fatto risalgono tutte all'era post-Jobs... gli osservatori del mondo Apple si sono divisi tra chi vede nella sua cacciata l'inizio del decadimento di Apple (una sorta di ripetizione della cacciata di Jobs nell'ormai lontano 1985) e chi vede invece l'inizio di una nuova era che porterà ad interfaccie più coerenti e all'abbandono (o ridimensionamento) del tanto discusso skeumorfismo; se può aver senso su iOS, spesso è fuori luogo su OSX, anche se Apple seguirà probabilmente per la strada della similitudine delle interfaccie, tantopiù che ora sarà una sola persona a seguire entrambe.

In ogni caso, che si parli di interfaccia o di funzionalità, è indubbio che la cacciata di Scott porterà dei cambiamenti in iOS: spesso mi sono lamentato di cose che non mi piacevano, e probabilmente oggi sarò un po' ripetitivo, ma visto che ultimamente sto usando iOS abbastanza intensamente, vorrei cogliere l'occasione per evidenziare quelli che secondo me sono i difetti o le carenze ancora presenti in questo sistema, difetti e carenze che il cambio di rotta potrebbe colmare.

Partiamo subito con un argomento di un certo peso: la multiutenza. Se è vero che lo smartphone è un oggetto molto personale, l'iPad in certi casi sta prendendo il posto del computer di famiglia, il che implica che può essere usato da più persone che possono avere preferenze diverse, applicazioni diverse, account di mail diversi, ecc.... Quando i bimbi mi chiedono di giocare con l'iPad, glielo do senza grossi problemi, perché ho abilitato le restizioni che impediscono gli acquisti in-App, ho disabilitato la possibilità di cancellare applicazioni e, soprattutto, ho bloccato le modifiche agli account. Questo però non mi mette al sicuro da ogni problema: volendo potrei bloccare la navigazione web (anzi, potrei bloccare Safari, ma la navigazione potrebbe avvenire attraverso altri browser) ma, a parte la scomodità di dover entrare ogni volta nelle opzioni di restrizione, non c'è modo di bloccare eventuali pasticci che potrebbero creare su contatti e agenda, né tantomeno sulle mail. Fortunatamente sono ancora abbastanza piccoli da doverli seguirli di continuo ogni volta che prendono l'iPad in mano, quindi al momento queste restrizioni possono essere sufficienti, ma pensate anche al caso in cu un amico vi chiede l'iPad qualche minuto "per vedere com'è": probabilmente un adulto non potrebbe fare, involontariamente, grossi danni, ma che ne è della vostra privacy? In un tap può accedere ai vostri contatti, alle vostre mail, alle vostre foto, e a tutti i dati che avete sull'iPad (fortunatamente Dropbox permette di impostare una password per accedere ai dati)... Se ci fosse la multutuenza, o un account guest al quale dare direttive ben precise su quali App può o non può visualizzare, tutti questi problemi non ci sarebbero.

Secondo argomento: le impostazioni. In iOS le impostazioni sono ben organizzate, e con iOS6 è disponibile anche un pannello "Privacy" dal quale possiamo decidere quali possono accedere o meno a certi dati. Però... c'è un però... se alcune impostazioni come il controllo del musica e del blocco rotazione) sono accessibili col doppio click del tasto home, l'attivazione di altre funzioni basilari è vincolata all'apertura dell'applicazione delle impostazioni, tant'è che, personalmente, un posto nel dock lo riservo sempre ad essa. Secondo me alcune cose basilari come l'accensione o lo spegnimento di WiFi e Bluetooth (o altre a scelta dell'utente) potrebbero essere inserite in qualche modo  nel centro notifiche (copiando però da Android) o nel pannello inferiore del multitasking, magari sacrificando il controllo del volume, che comnque è sempre accessibile tramite tasti. Se poi venisse aggiunto anche un controllo che chiude in un colpo solo tutte le App aperte, sarebbe ancora meglio.

Terzo argomento: qualche gesture in più sull'iPhone. L'ho già menzionata altre volte, ma la ripeto anche in questa occasione. E' vero che con l'iPhone 5 il tasto home sembra ver cambiato la meccanica diventando più resistente, ma tutti quei doppi click, prima o poi si pagano, e rimuovere l'unico tasto fisico potrebbe non essere molto conveniente... perché allora non dare la possibilità di accedere al pannello del multitasking tramite uno sliding dal basso? Esattamente come il centro notifiche, però fatto sul lato opposto dello schermo: secondo me sarebbe molto apprezzato.

Quarto argomento: lo scambio dati. Argomento, anche questo, trito e ritrito che si intreccia con i limiti dell'archiviazione dati su iCloud (sulla quale, in questo post, non voglio infierire). Considerando il fatto che ci sono alcune App che consentono in qualche modo di scambiare dati attraverso la rete WiFi, anche con computer o dispositivi non Apple, basterebbe che venisse offerta la stessa possibilità anche su Bluetooth... l'eventuale passaggio dei file alle App interessate può avvenire tranquillamente dall'interno dell'applicazione stessa: nessun problema di sicurezza (o, perlomeno, nessuno in più di quelli che già ci possono essere tramite WiFi) e massima flessibilità di scambio... sogno?

Quinto argomento: le librerie. Tutte le App possono accedere alla libreria musicale, ma non possono salvare nella libreria stessa; però nella libreria musicale si possono creare e modificare le playlist, nonché cancellare elementi se si ha bisogno di spazio. Tutte le App possono accedere alla libreria fotografica e possono salvare immagini nel rullino; si possono creare nuovi album ma non è possibile in alcun modo modificare gli album sincronizzati dal computer o cancellare foto dalla libreria (a parte quelle del rullino). Perché queste diversità? Non può fare un mix delle due cose prendendo ciò che c'è di meglio in entrambi?

Bug, difettucci vari, e scomodità assortite. Le nuove versioni degli store introdotte con iOS6 sono sicuramente fatte meglio, ma in certe occasioni sono molto più lente delle versioni precedenti. In particolare è diventato molto più lento l'accesso agli acquisti precedenti: meno male che gli acquisti vengono comunque segnalati anche sullo store... Non riesco però a capire come mai quando si installa un'App, e la prima volta che la si lancia chiede se si vogliono ricevere notifiche, e gli si risponde di no, talvolta ci si ritrova comunque le notifiche di quell'App: è un problema da poco, perché si risolve in pochi tap dal pannello di impostazione delle notifiche, ma è fastidioso. Parlando sempre di App store, la casella di ricerca nella versione iPad è di una scomodità inaudita: non sarebbe meglio usare un pulsante (sotto c'è lo spazio per aggiungere tutti i pulsanti che si vogliono) per aprire una pagina dedicata? Andando più specificatamente su iOS, con iOS6 il correttore ortografico italiano è inspiegabilmente peggiorato e cerca di aggiungere accenti ovunque: il caso più eclatante lo si riscontra ogni volta che si digita una "e" (congiunzione) e lui propone "è" (verbo), ma ce ne sono molti altri ("ce" diventa "c'è", "torno" viene scambiato con "tornò", ecc...) e a volte ho l'impressione che anche il riconoscimento del tasto premuto sia diventato in qualche modo meno preciso, ma forse non mi sono ancora completamente abituato allo schermo più lungo dell'iPhone 5. Infine, skeumorfismo o non-skeumorfismo, se aggiungessero il giorno della settimana sul calendario, farebbero felice molta gente.

domenica 18 novembre 2012

[10 anni fa] autunno 2002

Col la speranza di riuscire a rendere ancora "mensile" l'appuntamento nostalgico con gli eventi del decennio precedente, dopo la rassegna estiva passiamo oggi all'autunno del 2002.

Comincio subito col segnalarvi un mio articolo di opinione che affrontava il futuro di Apple sia sotto il punto di vista del sistema operatvo (in particolare agli aspetti Open Source di MacOSX) che sotto il profilo hardware dove, nonostante qualche speranza data da IBM, già si vedevano le ombre sul futuro del PPC, ombre che avrebbero poi portato alla migrazione verso Intel (argomento già trattato qualche tempo prima); ...e chissà che non sia l'ultima migrazione... ma di questo ne parlerò più avanti.

Restando in tema Apple, dopo le novità di settembre in ambito desktop, agli inizi di novembre del 2002, la casa di Cupertino aggiornava la sua linea di macchine portatili. A chi si lamenta dei prezzi attuali, ricordiamo che il modello Top del PowerBook Titanium, per l'occasione, subì un abbassamento di prezzo di ben 1500 Euro, arrivando così a costare "solo" 3900 Euro... 10 anni fa... di serie montava il Superdrive, ovvero un'unità ottica in grado di masterizzare i DVD (ai tempi Apple puntava molto iMovie e iDVD), anche se già a quei tempi si iniziava a parlare di BluRay; oggi le unità ottiche sono destinate a sparire.Sempre in tema di prezzi, i nuovi iBook presentati in quell'occasione scesero per la prima volta sotto la soglia psicologica dei 1000 dollari: il modello entry-level costava 999 dollari: oggi a quel prezzo (al quale vanno aggiunte le tasse) c'è il MacBook Air da 11".

Sempre nel settembre 2002, Lerry Ellison lasciava un posto libero nel Consiglio di Amministrazione di Apple.

Cambiando argomento, Sharp muoveva i primi passi per portare gli schermi 3D nelle case di tutti... e non era l'unica a crederci... sarà, ma come scrissi un paio di anni fa, io sono scettico ancora oggi sul futuro di questa tecnologia, anche se ho avuto modo di apprezzarla in diverse occasioni, in particolare con un Nintendo 3DS (dispositivo che però fa uso di una tecnologia che non richiede l'uso di occhialini, anche se obbliga a tenere una certa posizione della testa rispetto allo schermo).

Nel campo della telefonia si muovevano invece i primi passi verso l'UMTS (anche in Italia), e Palm cercava di offrire un browser all'altezza della concorrenza, che ormai aveva fatto capire come sarebbe andata a finire, nonostante l'offerta di nuovi modelli a basso prezzo e nuove idee destinate a non avere grosso successo. Chi vedeva lungo invece era Intel che già puntava tutto sulla mobilità, internet, e il wireless, anche se oggi come oggi chi la fa da padrone sui device portatili è ARM: questo non era stato previsto da Intel... Chi non vedeva lungo era invece Philips, che cercava di convincere il mondo che il futuro dell'archiviazione dati era quello di miniaturizzare i supporti ottici creando dischi da 3cm da infilare in smartphone e altri device portatili: ne avete mai visto uno???

Restando in tema, Microsoft annunciava uno dei suoi progetti meno riuscuti: XP in versione tablet, che a detta di Redmond avrebbe dovuto rimpiazzare tutti i normali PC nel giro di 5 anni. A distanza di 10 anni, e con un era dei tablet iniziata ufficialmente da Apple, Microsoft ci riprova con Windows 8, ma stavolta adotta una tattica completamente opposta: invece di portare sul tablet l'interfaccia dei computer desktop, mette sui desktop l'interfaccia del tablet: nonostante l'assurdità di certi concetti, credo che stavolta Microsoft riuscirà a farla franca: in ambito desktop è quasi impossibile staccarsi da Windows, e é l'adozione di Windows 8 sui desktop porterà inevitabilmente al suo successo anche in ambito tablet... resta da vedere a scapito di chi...

Tornando alla Apple di 10 anni fa, nonostante in molti si lamentano del livello sonoro dell'iPod, giudicato troppo basso, 10 anni fa Apple fu addiritura costretta a ritirare il proprio dispositivo dal mercato francese, perché il livello di decibel era troppo elevato.

A tutto questo mischiate le solite dosi di polemiche su pirateria, privacy, spam, lotte tra telco, e schermaglie tra opensource e mondo del software chiuso: tutto uguale ad oggi, anche se le lotte sulla pirateria digitale si sono ormai spostate dalla musica all'editoria... chissà coma andrà a finire.

mercoledì 14 novembre 2012

iPad Mini contro tutti

Come di consueto, ripropongo anche qui la mia recensione sull'iPad mini (con qualche commento anche sul nuovo iPad Retina con processore A6X) pubblicata settimana scorsa su Punto-Informatico:

-Le dimensioni contano-
Dopo le prime impressioni alla presentazione, e una settimana di test a seguito del lancio avvenuto lo scorso venerdì, abbiamo la possibilità di tirare le somme sul tanto atteso e tanto discusso iPad Mini, nonché di fare qualche osservazione sull'aggiornamento dell'iPad Retina Display con processore Apple A6X.

Cominciamo dal Mini, vera novità, al quale è riservata la maggior parte di questa prova. La confezione, raffrontata con quella dell'iPad tradizionale, offre da subito l'idea di quanto il Mini sia effettivamente un dispositivo dalle dimensioni contenute, ma la prima cosa che colpisce davvero quando lo si prende in mano è il peso: 308 grammi (il modello in prova è quello WiFi, ma il modello "Cellular" pesa solo 4 grammi in più) sono meno della metà rispetto ai 652 grammi (o 662 per la versione "Cellular") della versione tradizionale da 9,7 pollici.

Continuando a parlare dell'aspetto fisico, iPad Mini si tiene molto bene anche in mano: nonostante il suo schermo sia da 7,9 pollici (e quindi più vicino agli 8 che non ai 7 pollici più canonici dei prodotti concorrenti), il fattore di forma in 4:3 (anziché il più diffuso 16:9) e l'eliminazione quasi totale della cornice sul lato lungo fanno in modo che l'ingombro sia grossomodo lo stesso di un Nexus 7, di un Galaxy Tab 7 o di un Kindle Fire HD (i tablet Android più discussi del momento): 200x134,7 milimetri per iPad Mini, 193,7x122,4 millimetri per il Galaxy Tab, 198,5x120 millimetri per il Nexus, e 193x137 per il Kindle Fire HD. A fronte dei 12-15 millimetri in più di larghezza, oltre ad avere un display più grande di quasi un pollice iPad Mini guadagna sullo spessore: solo 7,2 millimetri per il tablet della Mela (qualcosina meno rispetto ai 7,6 millimetri di iPhone 5), contro i 10,45 del Nexus, i 10,5 millimetri del Galaxy e 10,3 millimetri del Kindle Fire HD (15,5 millimetri per il Kindle Fire non-HD); anche il peso ne guadagna, perché il Samsung pesa circa 40 grammi in più e anche il Nexus, con i suoi 340 grammi, fa segnare 30 grammi in più rispetto ad iPad Mini (il Kindle arriva invece a sfiorare i 400 grammi).


A livello estetico iPad Mini adotta le stesse finiture di iPhone 5, in particolare la colorazione nero-ardesia o bianco-argento, ed ha un profilo meno affusolato rispetto al fratello maggiore, dettaglio che, oltre a renderlo più piacevole (ma qui può essere una questione di gusti), lo rende più facilmente impugnabile con una sola mano.

Passando all'utilizzo pratico, all'accensione iPad Mini si può configurare in pochi passi, ma basta collegarlo ad iTunes per poter ripristinare il backup di un precedente iPad, segno ulteriore del fatto che anche il piccolo tablet può essere usato senza grossi compromessi. Per completezza d'informazione, il restore del backup si può eseguire anche attraverso iCloud ma, a parte l'onere di dover scaricare 60GB attraverso la rete WiFi, se la vostra musica non è in iTunes Match dovrete comunque passare prima o poi dal computer.


-Il display-
Con iPad pronto all'uso si torna inevitabilmente a parlare del display. iPad Mini ha una risoluzione di 1024x768 (163ppi), contro i 1280x800 del Nexus e del Kindle Fire HD (216ppi), e i 1024x600 del Galaxy Tab o del Kindle Fire non-HD (169ppi). Non si tratta di grosse differenze ma iPad Mini, tra tutti i modelli da 7 pollici che abbiamo considerato, è comunque quello che si ritrova con la definizione peggiore, anche per via dello schermo più grande: se fosse stato un 7 pollici, la definizione dell'iPad Mini sarebbe arrivata a 183ppi. In ogni caso i 163dpi della definizione attuale si posizionano ad un livello intermedio tra i 132ppi di iPad 2 (che spalma gli stessi pixel su 9,7 pollici) e i 264ppi dell'iPad con Retina Display.

Come abbiamo già avuto modo di osservare, iPad Mini ha la stessa identica definizione dei primi modelli di iPhone quindi non risente di alcun compromesso di usabilità, ma soprattutto è dotato della stessa risoluzione di iPad 2, e questo gli consente di sfruttare nel migliore dei modi, e senza alcuna scalatura, le oltre 275mila applicazioni già scritte per iPad e disponibili sull'App Store.

Tutto bene quindi? Non proprio. A parte la consueta analisi di Display Mate che evidenzia come iPad Mini abbia uno schermo buono ma mediamente inferiore rispetto al Kindle Fire HD e al Nexus 7 (anche se si comporta molto bene a livello di intensità dei colori e contrasto delle immagini), il confronto con i display Retina ai quali Apple ci ha abituato negli due ultimi anni lascia un po' di amaro in bocca. Se non siete abituati a lavorare su uno schermo Retina, probabilmente lo schermo dell'iPad Mini vi sembrerà assolutamente normale (verificato di persona facendo provare iPad Mini a più persone); ma se passate lo sguardo dal nuovo iPad al piccolo tablet della mela, la differenza è evidente (soprattutto quando si ha a che fare col testo) anche perché, parlando di un dispositivo touchscreen, il ruolo dello schermo è di primaria importanza.  


C'è da dire che, su questi formati, anche la concorrenza non riesce a spingersi a definizioni molto più elevate, ed Apple ha preferito privilegiare la compatibilità fornendo uno schermo con una risoluzione standard per le App già disponibili. È lecito immaginare che per la prossima generazione di iPad Mini, quando i produttori di display renderanno disponibili schermi da 7 pollici ad altissima definizione, Apple adotterà uno schermo Retina anche su questo tablet.

Come ultima osservazione sul display, va osservato che l'eliminazione della cornice sul lato lungo non causa problemi nell'interazione multitouch: Apple ha fatto modo che gli eventuali contatti accidentali dovuti all'impugnatura non venissero presi in considerazione per il riconoscimento delle gestures più comuni, e in iBooks ha introdotto una modalità di lettura a scorrimento continuo, in modo tale da evitare cambi pagina indesiderati. Al momento però non tutte le App di terze parti utilizzano gli stessi accorgimenti.


-Processori a confronto-
La scelta del processore Apple A5 ha fatto storcere il naso a qualcuno, ma di fatto le versioni "X" dei SoC Apple sono riservate ai casi in cui serve maggiore potenza al comparto grafico (cioè per i 2048x1536 pixel del Retina display del fratello maggiore) e il nuovo Apple A6, probabilmente, avrebbe fatto troppa concorrenza all'iPad tradizionale. L'Apple A5 è lo stesso processore montato anche sul nuovo iPod Touch (la cui risoluzione è dello stesso ordine di grandezza dell'iPad Mini) e alla prova dei fatti si comporta più che bene in tutti i compiti normalmente delegati al tablet: non dimentichiamo che anche l'iPad da 9,7 pollici in vendita da marzo fino a qualche settimana fa montava comunque un A5X, cioè un A5 con doppia GPU dual core, ma pur sempre un A5.

Ovviamente l'Apple A6 di iPhone 5 e l'Apple A6X del nuovo iPad Retina hanno una marcia in più, che verrà sfruttata in futuro da applicazioni sempre più avide di potenza di calcolo (si parla di prestazioni più che raddoppiate), ma questo non toglie nulla al valore della precedente generazione di processori che equipaggiava (e ancora equipaggia) alcuni dispositivi Apple. Programmi di grafica (come Adobe Photoshop Touch) o giochi "impegnativi" a livello computazionale (come N.O.V.A. 3 o Real Racing 2 HD) girano senza batter ciglio, e anche la lettura di grossi PDF o la riformattazione di eBooks voluminosi avviene senza problemi. Apple non rinuncia a sottolineare come l'esperienza d'uso sia in tutto e per tutto simile a quella dell'iPad da 9,7 pollici e lo fa mostrando i due modelli affiancati nell'utilizzo di GarageBand, altra applicazione non proprio parsimoniosa nelle richieste di prestazioni.

Proprio GarageBand, introducendo l'argomento musicale, ci offre lo spunto per citare una piccola ma gradita novità: iPad Mini è il primo dispositivo iOS di Apple ad integrare degli altoparlanti stereofonici. Tutti gli altri dispositivi iOS hanno invece un unico altoparlante, riservando l'audio stereofonico al jack delle cuffie (cuffie che sono assenti dalla confezione, così come in tutti i precedenti modelli di iPad). La resa è effettivamente diversa, ma le dimensioni minori delle casse e del dispositivo stesso non aiutano a migliorare più di tanto l'effetto finale.


-Fotocamera, autonomia e accessori-
Passando al comparto fotografico, iPad Mini monta le stesse identiche camere del modello da 9,7 pollici: quella sul retro è da 5 megapixel con obiettivo a 5 elementi, apertura F2.4, autofocus, riconoscimento automatico dei volti, filtro ad infrarossi e sensore retroilluminato che aiuta ad ottenere foto migliori in condizioni di scarsa luminosità (nella gallery potete osservare un paio di esempi di foto scattate al chiuso, di sera). Anche le mancanze sono comuni al fratello maggiore visto che, a differenza di iPhone e iPod Touch, tutta la famiglia iPad (Mini compreso) non è dotata di flash. La camera frontale, utilizzata principalmente per Facetime, è invece da 1,2 megapixel, ma è anch'essa dotata di sensore retroilluminato e del sistema di rilevamento automatico dei volti. A livello di video, la camera posteriore permette di registrare filmati in full-HD a 1080p (con funzione di stabilizzazione e messa a fuoco tramite tocco) mentre quella frontale registra video a 720p. La qualità dei filmati è buona, anche migliore rispetto a quella delle foto, ma manca la possibilità di zoomare durante le riprese (funzione che si può ottenere utilizzando App diverse da quella fornita di sistema). Infine, a differenza di iPhone, su iPad manca anche la possibilità di scattare foto panoramiche o in modalità HDR: anche in questo caso si tratta di funzionalità che possono essere aggiunte utilizzando altre App ma, visto che Apple ha già sviluppato queste funzioni per iPhone, potrebbe inserirle anche nella versione iOS per iPad.

Con l'utilizzo continuativo di iPad Mini arriviamo inevitabilmente a parlare della durata della batteria, che è uno dei punti a favore del Mini. Apple dichiara 10 ore di autonomia in navigazione WiFi o riproduzione audio/video, e non ci sono sorprese in tal senso: l'autonomia è davvero buona, complice anche il fatto che il modello in prova è WiFi (l'utilizzo della rete dati cellulare è tipicamente più dispendioso, soprattutto se si fa ricorso a numerose notifiche push). Premesso che l'autonomia dipende in gran parte anche dal tipo di utilizzo che viene fatto del dispositivo, in questa settimana di prova ho dovuto ricaricare iPad Mini solo un paio di volte: la carica iniziale (effettuata durante la prima sincronizzazione con iTunes) e una seconda carica tre giorni dopo.

Parlando di accessori, Apple ha realizzato una smartcover leggermente diversa rispetto a quella dell'iPad "maggiore": al di là della divisione in tre parti anziché quattro (inevitabile per via delle minori dimensioni) la parte magnetica che si aggancia al dispositivo è ricoperta di tessuto, così da evitare possibili graffi sulla colorazione ardesia. Nonostante questo l'aggancio è molto saldo, anzi, l'impressione è che sia più saldo rispetto a quello dell'iPad Retina, anche per via del minor peso da sostenere.


Ovviamente iPad Mini nasce con il nuovo connettore Lightning, per il quale sono già disponibili diversi accessori, in particolare gli adattatori per l'importazione delle foto da scheda SD (testato proprio in occasione di questa prova) e tramite porta USB. A tal proposito ricordiamo che il connettore con porta USB consente anche di importare le foto tra vari dispositivi iOS (cosa che a mio avviso è comunque più comoda da fare condividendo le foto stesse su rete WiFi, ammesso che ci sia una rete disponibile) e supporta anche i dispositivi audio MIDI. Un altro accessorio che sarà molto gettonato per qualche tempo è l'adattatore per il connettore dock, disponibile sia in versione compatta che con un cavo di 20 centimetri.

Probabilmente la volontà di spingere all'adozione del nuovo connettore (anche e soprattutto tra i produttori di accessori) è tra i motivi che hanno spinto Apple ad aggiornare prematuramente iPad Retina; da notare che il nuovo modello non ha spinto iPad 2 fuori dal listino, ma è andato a prendere il posto della terza generazione di tablet Apple, quello che era stato introdotto a marzo come "il nuovo iPad". Le motivazioni di un aggiornamento così precoce non possono però limitarsi solo a questo aspetto: Apple sta giocando il tutto e per tutto su questa tipologia di dispositivi, e non vuole correre il rischio di farsi raggiungere dalla concorrenza.


-Conclusioni-
Con il SoC A6X Apple segna un nuovo punto di riferimento a livello di prestazioni, e anche se al momento non ci sono ancora applicativi in grado di sfruttare tutta questa potenza Apple mostra i denti con un tablet che, oltre al nuovo processore, aggiunge la compatibilità alle reti LTE europee, migliora la connettività WiFi 802.11n con il supporto dual band (2.4GHz e 5GHz) e migliora anche le due fotocamere (miglioria che, come abbiamo visto, è stata adottata anche sul Mini).

Un'altra ragione che può aver spinto Apple all'aggiornamento di iPad Retina può essere legata al riposizionamento temporale degli aggiornamenti dei dispositivi iOS: se così fosse il nuovo iPhone potrebbe arrivare prima del previsto, così da riservare ad iPad il consueto spazio autunnale. In ogni caso, il confronto con il modello precedente di iPad Retina perde di significato nel momento stesso in cui Apple ha deciso di eliminarlo dal listino, ma se trovate una buona occasione d'acquisto (e non pensate di comprare troppi accessori) l'iPad di terza generazione rimane un prodotto più che valido da prendere in considerazione per l'acquisto di un tablet di grosse dimensioni.

In conclusione, iPad Mini e iPad Retina sono due prodotti tanto simili quanto diversi: simili perché consentono di fare esattamente le stesse cose senza troppe differenze nell'esperienza di utilizzo; diversi perché ognuno dei due ha i propri pro e contro. 


Dopo aver passato un po' di tempo con iPad Mini, il peso del modello Retina sembra davvero eccessivo. Ma bastano pochi istanti sul display ad alta risoluzione per dimenticarsi del peso e apprezzare la maggiore nitidezza delle immagini e, soprattutto, del testo. La scelta tra i due modelli (che complessivamente hanno venduto 3 milioni di esemplari nei primi 3 giorni di vendita) diventa una questione molto personale e legata (oltre che al fattore economico) al tipo di utilizzo che se ne vuole fare: un iPad in casa riesce a sostituire nel 90 percento dei casi il personal computer, ma il Mini è sicuramente molto più comodo da portare in giro.

Resta da chiedersi cosa succederà quando Apple deciderà di introdurre il display Retina anche sul tablet da 7,9 pollici, perché in quel caso le differenze tra i due modelli si assottiglieranno, e il fattore prezzo giocherà sicuramente a favore del Mini. Ma di questo ne riparleremo, probabilmente, tra un anno.

giovedì 8 novembre 2012

iPhone 5, un mese dopo

A un mese circa dalla pubblicazione della mia recensione sull'iPhone 5, posso riprendere l'argomento con qualche informazione aggiuntiva data dall'uso continuativo.

-Dimensioni/peso e finiture estetiche. Gli 8 mm in più di lunghezza sono ampiamente compensati dallo spessore ridotto e, soprattutto, dal peso sensibilmente inferiore. Di contro la sensazione del fondo "vetroso" offerta dall'iPhone 4 e dall 4S è per certi versi migliore e ancora adesso, quando mi capita di afferrare l'iPhone 4 di mia moglie, ho l'impressione (falsa, visti i "test di caduta" dei due modelli) di stringere tra le mani qualcosa di più solido. Il fondo di alluminio non reca alcun segno di graffi e solo sugli spigoli accentuati della lavorazione lucida a 45° si intravedono delle lievi imperfezioni nella colorazione nero-ardesia (personalmente credo che il modello bianco, in questo caso, sia più azzeccato).A seguito di una caduta, uno degli spigoli in alluminio si leggermente ammaccato sulla parte posteriore, ma non cè nulla di compromesso.

-Display. Lo schermo più grande rimane utilizzabile al 100% con una sola mano, ma per i miei gusti (e per la lunghezza del mio pollice) siamo al limite: ci ho messo un po' ad abituarmi... Detto questo, la maggiore altezza torna utile in alcuni casi (a parte l'ovvio esempio dei filmati, personalmente la trovo molto utile sul calendario) ma non migliora la leggibilità del testo. Resta il fatto che il display dell'iPhone 5 è nettamente migliore come luminosità, contrasto e colori rispetto al 4 e al 4S, e si vede meglio anche all'aperto... La differenza è tale da far quasi sfigurare il Retina del 4S se si mettono i due telefoni fianco a fianco.

-Camera. Sono andato a riguardare alcune vecchie foto fatte col 4S; il problema del lens flare è ben evidente anche lì, solo che in quel caso non assume la tonalità fuscia che del 5, ma assume la forma di un alone chiaro, il che lo rende meno evidente anche se la dimensione dell'alone è maggiore. In alcune situazioni dove l'inquadratura non si può modificare più di tanto, può essere un problema.

-Pulsante Home. La meccanica che ci sta dietro sembra diversa... migliore

-WiFi. Nel corso dei miei viaggi, ma anche a casa di parenti, amici, e luoghi pubblici con hotspot disponibili, ho testato la connettività WiFi in diverse decine di occasioni e con decine di reti differenti. Una sola volta mi sono ritrovato ad avere problemi di lentezza o di connessione che andava e veniva in continuazione, problemi che il 4S non aveva e che quindi sono per forza di cose legati al nuovo chip dell'iPhone 5 o ad una sua gestione non corretta in determinate occasioni.

-Connettore Lightning. Ho solo due accessori che sfruttavano il collegamento dock a 30 pin: uno è lo stereo in salotto, dove è posizionato in pianta stabile il vecchio iPod Touch. L'altro è il kit sull'automobile, che però non uso praticamente più perché mi sono affezionato a Radio24 e a Virgin Radio. Per la ricarica in auto (indispensabile quando l'iPhone viene utilizzato come navigatore per lunghe tratte) passo comunque da una porta USB attraverso l'accendisigari, quindi il cambio di connettore mi ha lasciato quasi indenne. Capisco che potrebbe non essere così per tutti, ma un cambio dopo 11 anni non mi pare una tragedia, e anche se avrebbe potuto starci ancora sull'iPhone, dubito che il connettore dock a 30 pin avrebbe trovato posto facilmente sugli altri dispositivi più sottili (il nuovo iPod Touch è 6.1 mm, l'iPod nano 5.4 mm, e il futuro è sicuramente ancora più sottile...)

Dei difetti ancora presenti in iOS6 (quindi non specifici dell'iPhone 5) parlerò prossimamente... sono in arretrato su diversi argomenti che mi ero ripromesso di commentare su queste pagine.

martedì 6 novembre 2012

Le nuove gambe della Mela

Torno velocemente sull'argomento dei cambi al vertice di Apple, per riportare anche qui il mio commento pubblicato mercoledì scorso su Punto-Informatico:

I cambi al vertice annunciati da Apple la scorsa sera sono giunti, almeno in parte, inattesi. Se per John Browett, in Apple da pochi mesi, le motivazioni Sono chiare e ben definite (mai integrato nella "filosofia Apple" e troppo orientato al fatturato degli Apple Store piuttosto che non al livello di soddisfazione di clienti e addetti dei negozi stessi), per Scott Forstall la situazione è un po' più intricata.

Cresciuto in NeXT e portato in Apple da Steve Jobs, Forstall ha partecipato attivamente alla creazione di Mac OS X e della sua interfaccia AQUA (soprattutto dopo le dimissioni di Tevanian) e poi di iOS, del quale è il completo responsabile. Non è un segreto che Scott fosse uno dei pupilli di Jobs: ne condivideva molte idee e anche il carattere difficile... Da quel che si dice, dopo la dipartita di Jobs, i suoi rapporti con il resto del management sono diventati sempre più difficili; l'ascesa di Android, unita ai recenti mezzi passi falsi in materia di mappe hanno fatto il resto.

Ora le cose andranno un po' diversamente perché, al di là dell'allontanamento di Forstall, c'è stato anche un rimpasto dei ruoli: Jonathan Ive (altro pupillo di Jobs) seguirà direttamente lo sviluppo delle interfacce umane di OS X e iOS, mentre lo sviluppo del sistema vero proprio sarà sotto la guida di Craig Federighi (anch'esso ex-dipendente NeXT) già a capo dello sviluppo di OS X: non ci sarà più, quindi, una persona dedicata esclusivamente ad iOS e una al sistema dei Mac, ma ci sarà qualcuno che segue lo sviluppo coordinato delle interfacce di entrambi i sistemi, e qualcun altro che ne dirige gli sviluppi tecnici. Questo significa che le somiglianze tra i due sistemi saranno sempre maggiori, e anche a livello tecnico si dovrebbe assistere ad un'integrazione ancora migliore, se non ad una futura convergenza.


Come se la caverà "Jony", da sempre abituato a progettare gli involucri delle creazioni di Apple, nel suo nuovo ruolo di designer di interfacce umane? Difficile dirlo adesso, ma c'è già chi spera in un abbandono del tanto contestato (ma anche apprezzato) scheumorfismo. In ogni caso Scott Forstall rimarrà in Apple per qualche mese ancora come consulente esterno personale di Tim Cook, decisione più strategica che dettata da reali necessità, in parte per il consueto passaggio di consegne di un ruolo così delicato, ma soprattutto per evitare che le idee dei prossimi progetti di Apple migrino troppo velocemente verso altri lidi, visto che ultimamente Apple è già stata vittima di numerose fughe di notizie che hanno in parte compromesso il lancio del nuovo hardware.

L'allontanamento di Forstall da un ruolo chiave di Apple è stato anche uno dei motivi che ha convinto Bob Mansfield a restare in Apple anziché andare in pensione (intenzione che aveva chiaramente manifestato nei mesi scorsi). Bob si occuperà di dirigere un nuovo gruppo che seguirà il comparto wireless e lo sviluppo del settore dei semiconduttori, due settori chiave per il futuro vista la propensione di Apple a realizzare processori proprietari (come i recenti Apple A6 e A6X), scelta che nei prossimi anni potrebbe portare all'adozione di nuove soluzioni anche sui Mac, vista la recente presentazione dell'architettura ARM Cortex A50 a 64 bit.
Il rimpasto dei vertici di Apple lascia ad Eddy Cue il compito di "raddrizzare" Mappe di proseguire lo sviluppo di Siri (perennemente e dichiaratamente in fase beta), nonché quello di supervisionare tutti gli altri servizi legati ad iOS, a partire dagli store e da iCloud: chissà che non sia l'occasione per avere un po' più di elasticità sui servizi di storage online offerti da Apple.

Complessivamente si tratta di un cambio molto deciso, sia per l'allontanamento di alcune persone da alcuni ruoli chiave (vuoi per motivi caratteriali, vuoi per alcuni errori giudicati troppo delicati) sia, soprattutto, per il rimescolamento stesso di questi ruoli, che ha portato ad un diverso livello di organizzazione dello sviluppo (forse più razionale e più in linea con la visione di Tim Cook), i cui frutti potrebbero vedersi già dalla prossima versione di iOS o dai prossimi iDevice... A tal proposito, visto il recentissimo aggiornamento della linea iPad, e l'inevitabile malumore di chi aveva appena acquistato un iPad di terza generazione, è improbabile che la linea dei tablet venga nuovamente aggiornata in primavera. Ma è altrettanto difficile che mancheranno novità in questo settore fino al prossimo autunno: tralasciando il discorso dell'ancora fantomatica televisione marchiata Apple, potrebbe essere l'occasione per riportare l'iPhone a giugno, sia per anticipare i tempi delle consuete indiscrezioni che rischiano di tenere il mercato in stallo, sia per distanziare gli annunci e dedicare lo spazio autunnale solo all'iPad. Ma per tutto questo c'è ancora tempo: quello che è certo è che questa, ormai, non è più l'Apple di Steve Jobs, ma è un'Apple che sta imparando a camminare in modo diverso, con delle nuove gambe.

martedì 30 ottobre 2012

Il cambiamento che non ti aspetti...

...o quasi.

Apple annuncia grandi rivoluzioni nella leadership di due settori chiave del momento: Scott Fortsall, alla guida della divisione iOS, lascerà Apple il prossimo anno... resterà per un anno come consulente di Tim Cook (probabilmente più per questioni strategiche) ma sarà Jonathan Ive che guiderà l'evoluzione dell'interfaccia operativa, coadiuvato Craig Federighi per lo sviluppo vero e proprio del sistema. Parallelamente Eddy Cue cercherà di raddrizzare Siri e Mappe, due pomi della discordia che probabilmente hanno contribuito all'allontanamento di Fortsall. Nonostante tutto, visto la genesi di OSX e iOS (Fortsall arriva direttamente dalla NeXT ed è uno dei progettisti delle prime versioni di MacOSX e dell'interfaccia AQUA, oltre che essere una delle persone che hanno portato iOS al successo) non pensavo che si sarebbe arrivati a questo punto... ma tutto cambia, e forse era giunto il momento di dare una svolta anche sotto questo aspetto. Resta da chiedersi se Ive riuscirà a guidare lo sviluppo dell'interfaccia dei sistemi Apple, così come ha guidato l'evoluzione delle linee esterne dei Mac e dei dispositivi iOS, e in modo altrettanto efficace: i due settori sono completamente differenti, e questa sarà una bella sfida per Jony.

L'altro grande allontanamento è quello di Jhon Browett, da sei mesi a capo degli Apple Store, ma mai realmente in sintonia con la filosofia Apple, troppo focalizzato sui ricavi a scapito (talvolta) dell'esperienza dei clienti negli store.

Infine Bob Mansfield, che sembrava in procinto di andare in pensione, assume il ruolo guida della divisione wireless e dello sviluppo dei semiconduttori, e quindi dei futuri processori (che, qui lo dico e qui lo nego, nel giro di qualche anno potrebbero tornare ad essere basati su architettura proprietaria anche sui Mac)

mercoledì 24 ottobre 2012

Apple e il mini-maxi evento

Come di consueto, ripropongo l'articolo già pubblicato su Punto-Informatico. Come nota  a margine noto che iBook 3.0 è stato rilasciato nella giornata di oggi (stanotte, quando ho preparato l'articolo, non era ancora presente sullo store) ma non ho ancora avuto modo di darci un'occhiata: in questo momento non avrei nemmeno un iPad per provarlo. A seguire, l'articolo (nei prossimi giorni, magari, un approfondimento):

È difficile dire come sarebbero andate le cose con Steve Jobs ancora alla guida di Apple, e forse non ha neanche tanto senso chiederselo. Certo è che, nonostante i proclami di voler mantenere un elevato livello di segretezza intorno ai propri prodotti, ultimamente le fughe di notizie precedono gli eventi di Apple con largo anticipo e questo, forse, con Jobs non sarebbe successo. Non in modo così eclatante perlomeno.

iPad Mini
Ma veniamo all'evento vero e proprio, e partiamo dal tanto discusso iPad mini. Qui il richiamo a Steve Jobs è d'obbligo, visto che fu il co-fondatore di Apple a dichiarare pubblicamente che un iPad da 7 pollici non avrebbe avuto senso: con solo il 45 per cento dell'area di lavoro di un iPad "normale", avrebbe richiesto della carta vetrata per appuntire le dita in modo da poter gestire l'interfaccia utente su una superficie così piccola. Ma forse Jobs stava confondento le idee ai propri interlocutori, oppure cambiò opinione in seguito, perché dal recente processo che ha visto contrapposte Apple e Samsung è emerso che Jobs era in realtà propenso ad esplorare anche questo settore di mercato.

Ci sarà quindi della carta vetrata inclusa in ogni confezione di iPad mini? Ovviamente no, e la ragione è molto semplice perché ricadiamo in un banale calcolo numerico. Innanzitutto iPad mini ha una diagonale di 7,9 pollici, una misura più vicina agli 8 che non ai 7, due centimetri in più sulla diagonale che portano la superficie fino al 67 per cento di quella del'iPad da 9,7 pollici o, se preferite, il 35 per cento in più" rispetto ad un tablet da 7": ottimi numeri da snocciolare a livello di marketing, soprattutto se abbinati ad uno spessore ed un peso estremamente ridotti . Tralasciando gli aspetti commerciali, una risoluzione di 1024x768 su una diagonale da 7,9 pollici corrisponde ad una densità pari a 163 dpi, di gran lunga inferiore ai 264 dpi dell'iPad con display Retina (o ancora meno rispetto ai 326 dpi di iPhone) ma leggermente superiore ai 132 dpi delle prime generazioni del tablet della Mela. 


Quel che più conta però, è che 163 dpi corrispondono esattamente alla definizione dei primi modelli di iPhone, prima dell'introduzione del display Retina, il che rende l'interfaccia di iOS su iPad mini perfettamente compatibile con gli standard di usabilità imposti da Apple. In definitiva, stessa risoluzione di iPad 2 (quindi massima compatibilità delle App) e stessa definizione dei vecchi iPhone (quindi stessa usablità d'interfaccia).

Sciolto questo dilemma, resta da chiedersi cos'abbia spinto Apple ad entrare in questo segmento di mercato, e qui le risposte possibili sono molteplici: si va dalla banale volontà di realizzare un dispositivo intermedio tra i 3,5 pollici (diventati ora 4) dell'iPod Touch e i 10 (per la precisione 9,7) dell'iPad, all'intenzione di realizzare un prodotto dal prezzo più abbordabile o che mettesse il bastone tra le ruote alla concorrenza, che da sempre punta su questa dimensione. In realtà lo scopo, nemmeno tanto nascosto, di iPad mini è quello di ampliare la penetrazione di Apple nel settore dell'editoria elettronica. Jobs (ennesimo richiamo inevitabile) disse che non credeva negli eBook reader, dispositivi dalle capacità troppo limitate se paragonati ad un tablet che, oltre a consentire la lettura di eBook, permettono di fare molte altre cose; evidentemente la sua idea non era tanto sbagliata se anche Amazon (leader indiscussa nel settore dell'editoria digitale) si è lanciata nel mercato dei tablet con il Kindle Fire, uno dei tablet Android più venduti.

Al momento però, Apple, nonostante iTunes U (servizio interessante che però coinvolge solo il settore educational) e nonostante abbia fatto leva sulla possibilità di autopubblicazione dei propri manoscritti, con tanto di applicazione orientata alla realizzazione di libri interattivi, ha fallito nelle proprie aspettative in questo settore, o quantomeno le ha di molto ridimensionate. I motivi di questa défaillance sono molteplici, ma tra questi va sicuramente annoverata anche la mancanza di un dispositivo adatto ad attirarare quella parte di clientela interessata principalmente alla lettura di libri.

iPad "classico" offre un'ampia area di lavoro e un'elevata definizione, ed ha anche una potenza tale da gestire senza problemi multimedialità, interattività, e PDF di grosse dimensioni (punto debole degli eBook reader tradizionali); di contro, però, (anche tralasciando l'argomento della tipologia di schermo) ha un peso ed una dimensione che non si possono minimamente paragonare ai leggeri e snelli e-reader. iPad mini invece pesa meno della metà rispetto all'iPad tradizionale (solo 308 grammi) ed è di oltre 2 millimetri più sottile rispetto ad iPad Retina (è anche leggermente più sottile dell'iPhone 5). Per rendere ancora più evidente il fatto chèiPad mini "sta in una mano" Apple ha anche ridotto la cornice sul lato verticale, rendendolo simile ad un grosso iPod.

Un altro elemento che dovrebbe rendere evidenti le intenzioni di Apple è l'attesa nuova release di iBooks, che dovrebbe offrire piena compatibilità con il formato EPUB3, ma al momento non è ancora stata rilasciata: forse sarà disponibile in concomitanza con la disponibilità di iPad mini. Resta invece un mistero l'impossibilità di leggere su computer i libri comprati su iBookStore, che attualmente sono visualizzabili solo sui dispositivi iOS: questa scelta sarebbe comprensibile (quantomeno strategicamente, non certo dal punto di vista dell'utente) se Apple fosse in una posizione dominante nel settore dell'editoria digitale, ma visto che si trova nella condizione di dover recuperare strada perché non offrire la lettura anche da iTunes (magari con la prossima release attesa a giorni) o da un'applicazione apposita? Conquisterebbe di colpo un gran numero di potenziali clienti per iBookStore, tutti quelli che utilizzano iTunes (anche su PC-Windows) ma che non possiedono un dispositivo iOS.

Tornando all'iPad mini, com'era facilmente prevedibile, il processore è un Apple A5: non è necessario il comparto grafico potenziato dell'A5X (o addirittura A6X) che gestisce lo schermo Retina, e un Apple A6 avrebbe reso il prodotto troppo concorrenziale rispetto all'iPad tradizionale. Il prezzo si posiziona esattamente nello spazio compreso tra iPod Touch e iPad da 9,7 pollici: partendo della verione WiFi, si va dai 329 Euro per il modello base da 16 GB (stesso prezzo di iPod Touch, che però offre il doppio dello spazio) e i 529 Euro per il modello da 64GB (praticamente lo stesso prezzo dell'iPad Retina da 16GB, che costa 499 Euro). Il modello intermedio da 32GB costa invece 429 Euro, ovvero si trova a concorrere con i 399 Euro di iPad 2 (che a parità di processore offre uno schermo più ampio ma una capacità di archiviazione dimezzata).

Tutto bene quindi? A giudicare dalle reazioni in borse sembrerebbe di no, visto che a seguito della presentazione il titolo AAPL ha perso più del 3 percento (anche se nel mercato After Hours è in leggero recupero) probabilmente perché in molti si aspettavano un prezzo più aggressivo, sotto i 300 dollari, a costo di sacrificare parte delle memoria proponendo un modello da 8GB. Resta il fatto che quello che è appena iniziato è il trimestre natalizio, ed è difficile pensare che iPad mini rimarrà sugli scaffali a prendere polvere.

Restando in tema iPad, l'evento di ieri non si è limitato a proporre la versione mini del tablet della mela, ma si è spinto oltre, aggiornando anche il modello tradizionale (d'ora in poi identificato come iPad con display Retina) con il connettore Lightning e con un nuovo processore Apple A6X. Per quanto riguarda il connettore, nessuna sorpresa: Apple vuole spingere i produttori di accessori all'adozione del nuovo formato, a costo di scontentare chi si ritrova con diversi dispositivi o accessori dotati del connettore dock classico (che comunque essendo il connettore di iPhone 4 e 4S, nonché di iPad 2, avrà ancora qualche anno di vita). Per quanto riguarda il processore, l'Apple A6X è un derivato dall'Apple A6 con comparto grafico potenziato (esattamente come per l'Apple A5 e l'A5X), quindi eredita gli stessi incrementi prestazionali del passaggio tra le due differenti architetture, che si traducono in prestazioni doppie.

Al di là delle perplessità di un aggiornamento così ravvicinato (soprattutto tra chi ha recentemente acquistato un iPad con A5X), è evidente che Apple vuole spingere l'acceleratore al massimo in questo settore, e forse non è un caso che, tra tutte le indiscrezioni trapelate, non ci fosse il sentore di un cambio così radicale dell'hardware (anche se era data per scontata l'adozione del connettore Lightning). Curiosamente l'iPad con processore A6X non va ad affiancare il vecchio modello, ma lo rimpiazza completamente; a listino rimane invece l'ormai "vecchio" iPad 2. Da segnalare che, in base a quanto riporta CNet, alcuni Apple Store sostituiranno gratuitamente gli iPad comprati negli ultimi 30 giorni con il nuovo modello presentato oggi.


Accantonando il mondo iOS, le novità di ieri sera sono state molte anche nel settore Mac, con un iMac completamente rinnovato nel design, e un nuovo MacBook Pro Retina da 13 pollici. Lasciando perdere gli assenti (cioé il Mac Pro che non è arrivato) partiamo dal nuovo iMac. Quello che più colpisce del nuovo all-in-one di Apple è sicuramente il design: più volte mi è capitato di vedere gente che confondeva iMac con un monitor, ma ora le possibilità di confusione crescono esponenzialmente, visto che il bordo arriva ad uno spessore di soli 5 millimetri. Ovviamente, per raggiungere un tale risultato, al di là delle complicazioni sul processo costruttivo (come "il processo di saldatura per frizione e rimescolamento") è stata rimossa l'unità ottica, già assente dagli Air, dal Mac mini, e dal MacBookPro 15 pollici Retina.

Estetica a parte, la rimozione del drive non fa che segnare un ulteriore passo verso la sparizione di questo supporto: nella situazione ideale immaginata da Apple, il software di scarica dal Mac App Store, la musica dall'iTunes Store e i film pure, senza dare nanche una chance al Blu-ray. Non c'è spazio per il supporto ottico, così come a cavallo del nuovo millennio, per motivi differenti, non c'era spazio per il floppy disc (l'iMac del 1998 segnò l'inizio della fine di quel supporto). Nella realtà dei fatti CD e DVD (in misura minore anche Blu-ray) sono ancora nelle case di molte persone anche se gran parte di musica e film sono già stati convertiti e copiati su hard disk esterni, NAS, chiavette USB e quant'altro (quando non sono già stati già comprati o scaricati dalla Rete in questo formato). Anche se io stesso non ricordo quand'è stata l'ultima volta che ho utilizzato il drive ottico sul computer, credo che questa transizione sarà un po' più lunga da completare.

Il nuovo iMac ovviamente non è nuovo solo nell'estetica, ma anche nelle specifiche tecniche: processori Core i5 o i7 fino al quad-core da 3,4GHz, da 8 a 32 GB di RAM, schede grafiche NVIDIA Kepler in varie versioni (dalla GT-640M del modello base, alla GTX 680MX con 2GB di memoria, installabile sul modello top), porte USB 3.0 e Thunderbolt, e nuove opzioni di archiviazione. Si parte dal classico disco rigido da 1TB (fino a 3TB) ai 768GB di memoria flash, passando per dischi ibridi che Apple chiama Fusion Drive, in cui il sistema decide automaticamente (in base alle abitudini dell'utente) cosa mettere sul disco rigido tradizionale o sulla memoria flash. 


Infine, anche lo schermo del nuovo iMac subisce una piccola rivoluzione: criticato da molti per le sue proprietà riflettenti, il display dell'iMac è ora completamente laminato e rivestito con un particolare processo che riduce del 75 per cento la luce riflessa. In attesa di vederlo dal vivo (il modello da 21,5 polliic sarà disponibile a novemente a partire da 1.379 Euro, quello da 27 solo a dicembre con prezzi da 1.899 Euro) resta da chiedersi, viste le dimension compatte, quanto questo "concentrato" di tecnologia sia "accessibile" dall'utente o anche dai tecnici addetti alle riparazioni.

Un po' più lontano dai riflettori (vista l'assenza di novità eclatanti) Apple ha aggiornato anche il Mac Mini con nuovi processori i7 (fino al quad-core da 2,6GHz), RAM fino a 16GB (4GB nella configurazione standard ma facilmente espandibilie), porte USB 3.0 e Thunderbolt (oltre alla HDMI), e la tripla opzione anche qui per l'archiviazione: disco rigido tradizionale (500GB o 1TB), memoria flash da 256GB, o disco ibrido Fusion Drive sempre da 1TB. A meno di esigenze particolari, nonostante il prezzo d'acquisto non sia proprio invitante soprattutto se confrontato con l'iMac (si parte da 649 Euro, che diventano 869 se si aumenta la RAM e si aggiungono trackpad e tastiera), il Mac Mini rimane la soluzione più flessibile per aggiornare il proprio sistema senza essere legati ad uno schermo. Ovviamente la differenza è nelle prestazioni (soprattutto quelle grafiche), quindi la scelta va ben ponderata.

Dulcis in fundo, il MacBookPro retina da 13 pollici. Atteso già a giugno, quando fu presentato il modello da 15, il nuovo portatile sfoggia una risoluzione da 2560x1600 pixel con una definizione di 227 pixel per pollice, 8GB di RAM (senza nessuna possibilità di espansione) e memoria flash fino a 768GB. Tutto in uno chassis da 1,9mm di spessore per 1,6kg di peso, e 7 ore di autonomia. A differenza dal modello da 15 pollici monta solo la scheda grafica integrata Intel HD Graphics 4000, ma in ogni caso riesce sicuramente a rubare un po' di scena ai suoi fratelli: sottile quasi quanto l'Air da 13 ma con prestazioni maggiori (anche se più caro), più leggero e veloce del modello standard (che costa quanto l'Air ma ha una risoluzione inferiore) e più economico del retina da 15, col quale condivide però tutte (o quasi) le soluzioni tecniche.

Difficile comprendere come Apple voglia far coesistere tre diverse versioni della stessa taglia di macchina: probabilmente, quando i costi di schermo e SSD lo permetteranno, i MacBook Pro che conosciamo oggi usciranno di scena e l'offerta di Apple presenterà solo la linea Air (che ha già soppiantato il MacBook) e la linea Retina (che soppianterà in tutto e per tutto la linea Pro).

Nel complesso, nonostante l'andamento borsistico non abbia perdonato nulla (anzi, ha evidentemente bocciato alcune scelte fatte da Apple), quello di ieri è stato un evento molto importante per comprendere la strada intrapresa a Cupertino, una strada che guarda sempre di più alla mobilità estrema (sia in veste tablet con iPad mini, che nel settore computer con il MacBookPro Retina da 13) e alla ricerca di prestazioni tramite l'adozione standard di memorie flash o dischi ibridi gestiti in modo trasparente per l'utente. Ma soprattutto l'aggiornamento "prematuro" di iPad mostra che Apple mira a tenere alta la guardia in questo settore considerato strategico per il futuro, puntando a processori proprietari che, se sviluppati nella giusta direzione, le daranno un grande vantaggio competitivo.